Con questo articolo
inizia la sua collaborazione con noi Giovanni
Covino, nato a Benevento
nel 1985. Dopo il liceo scientifico si laurea in filosofia presso l'Università
Federico II di Napoli, dove sta attualmente conseguendo la laurea magistrale sempre in
filosofia. Guardandosi bene dal non cadere in un pozzo mentre contempla il cielo, è diventato caporedattore del sito www.formazioneteologica.it e
membro dell'Unione Apostolica "Fides et ratio" per la difesa
scientifica della verità cattolica fondata dal prof. Antonio Livi e socio
dell’ISCA (International Science and Commonsense Association).
Il
Santo Padre Benedetto XVI conclude la premessa al suo libro Gesù di Nazaret con parole che
manifestano un atteggiamento di profonda umiltà: il Pontefice afferma, infatti,
che questo suo lavoro è «unicamente espressione della ricerca personale» e «in
alcun modo un atto magisteriale», quindi «ognuno è libero contraddirmi». Tali
parole mi hanno fortemente colpito, anche perché la lettura di queste righe è
avvenuta nel giorno in cui lo stesso Benedetto XVI celebrava la Santa Messa
Crismale, durante la quale ha richiamato la virtù dell’obbedienza, indicando in
essa, per l’ennesima volta, l’unica via per un autentico rinnovamento.
Ora,
sia le parole della prefazione su richiamate, sia quelle seguenti
dell’omelia, aprono ad una seria
riflessione su quello che è stato chiamato il “caso Livi”, cioè su quel caso
esploso dopo che mons. Antonio Livi, appunto, ha pubblicato un articolo su La bussola quotidiana con il titolo “Falsiprofeti”, dove prende in esame le riflessioni fatte da Enzo Bianchi sulle
“tentazioni di Cristo” , e pubblicate
lo scorso 4 marzo su Avvenire. Come
più volte ha ripetuto Livi nei suoi successivi interventi, il giudizio dato non
è contro Bianchi «come persona ma contro la sua “fama di santità”, ossia contro
la presentazione che se ne fa come di un vero mistico, di un autorevole
interprete della Scrittura, di un venerato maestro di dottrina cristiana, di un
eroico combattente per la riforma della Chiesa e per l’ecumenismo.»
Bisogna
tener ben presente questo punto per evitare di far scivolare le giuste
osservazioni del filosofo toscano in una vuota polemica di carattere
ideologico, che non serve a nessuno. Queste considerazioni devono essere lette
in opposizione ad una mentalità che oramai trova larghi consensi tra gli stessi
cattolici, ovvero la convinzione di poter essere interpreti infallibili della
Scrittura sostituendosi
così al Magistero, e di arrogarsi il diritto di giudicare come
errate le posizioni della stessa Santa Madre Chiesa. Livi insomma non ha fatto
altro che far notare, da pastore, pubblicamente, gravi errori in materia di
fede, che pubblicamente Bianchi ha divulgato, e di più sul quotidiano della
Conferenza Episcopale Italiana. A ciò si aggiunga che spesso Bianchi si è
soffermato, in alcuni articoli, sulla figura di Hans Küng, noto teologo
dissidente, e non certamente per prenderne le distanze. È ovvio che nessuno
proibisce al priore di Bose di parlare con e di Hans Küng, ma la situazione
cambia completamente se viene fatto pubblicamente di lui un elogio, come è
avvenuto in un articolo dello scorso 11 marzo, uscito su La stampa. Il titolo dell’articolo, “Hans Küng, l'occasione
sprecata dalla Chiesa”, è emblematico, in quanto già mostra, con l’espressione
“occasione sprecata”, una vena polemica dell’autore nei confronti del giudizio
della Chiesa, come se fosse un optional
per la Sposa di Cristo custodire e difendere il depositum fidei. Visto che, la custodia della santa fede, non è una
cosa superflua, bisognava, piuttosto, dire che l’occasione è stata sprecata non
dalla Chiesa, ma dallo stesso Küng che, pubblicando una nuova edizione del suo Essere cristiani, non ha accolto ancora
il materno “monito”, pronunciato il 15 febbraio del 1975, di ritornare a
praticare la teologia nel modo giusto, come si conviene a un cattolico ( cfr. Congregazione
per la dottrina della fede, Monitum
del 15 febbraio 1975: cfr. Enchiridion Vaticanum, vol. V, § 1090).
Ora,
volendo leggere gli interessi di Bianchi verso il teologo dissidente, protestanti, non credenti ecc., in
relazione al dialogo e all’apertura, e quindi come atto caritatevole, non
bisogna dimenticare che la carità
non va disgiunta dalla verità, pena il venir meno della stessa carità; a tal
proposito leggiamo in un documento del Concilio Vaticano II che «bisogna
assolutamente esporre con chiarezza tutta intera la dottrina», evitando dunque
ambiguità di ogni genere, nella consapevolezza che «niente è più alieno
dall'ecumenismo che quel falso irenismo, che altera la purezza della dottrina
cattolica e ne oscura il senso genuino e preciso» (Concilio Ecumenico Vaticano
II, Decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 11.), insegnamento
prezioso, che richiama alla mente il Vangelo di Giovanni, quando Nostro Signore
parla di se stesso come il “pane della vita” e invita a cibarsi del suo Corpo e
del suo Sangue: molti andarono via per la durezza
del linguaggio, ma non per questo Gesù lo “addolcì” (Gv, 6, 1-71).
Come
si può notare le mie riflessioni, mettono in evidenza che le considerazioni di
Livi vanno al di là delle pagine di Avvenire,
per inserirsi in scia alle preoccupazioni dello stesso Benedetto XVI circa la
situazione della Chiesa: nel suo ultimo lavoro, Vera e falsa teologia, infatti,
il filosofo toscano si è impegnato nel delicato compito di «verificare se un
discorso su Dio e sulla religione rispetti lo statuto epistemologico di
un’autentica “scienza della fede”» e per far ciò ha compiuto una “risalita epistemica”,
cioè ha individuato dei presupposti che rendono logicamente accettabile le tesi
che vengono formulate da chi si professa teologo. Nelle pagine centrali del
trattato Livi esplicita i presupposti per una corretta elaborazione teologica e
dichiara: «Il più importante dei criteri per effettuare in teologia una
corretta ermeneutica del dogma è dunque l’attenta individuazione del nucleo
dogmatico proprio di ogni tema teologico attraverso il sistematico riferimento
alla Tradizione, alla Scrittura e al Magistero.» Questo importante criterio didiscernimento non può non essere tenuto presente da tutti i cattolici, in
particolar modo da chi ha importanti responsabilità pastorali, solo in tal modo
si può evitare di aggiungere confusione a confusione e cominciare una vera
opera di evangelizzazione.
È
ovvio, dunque, che le preoccupazioni di Livi non sono legate ad una sterile
critica nei confronti del priore di Bose, piuttosto esse si volgono a quel
fenomeno diffuso - come già richiamato -
di far passare per autentica teologia ciò che si allontana dalla
dottrina di Cristo, fedelmente custodita nei secoli dalla Chiesa. Molti sono
gli studiosi a cui possiamo far riferimento circa tale atteggiamento: oltre al
già citato Hans Küng, anche i tedeschi Karl Rahner e Klaus Hemmerle, ma anche
gli italiani Piero Coda e Vito Mancuso, autori la cui metodologia di studio
viene minuziosamente esaminata da Livi nel suo ultimo lavoro epistemologico,
dove emerge chiaramente che le tesi formulate da questi (e da
altri vari autori) non
possono qualificarsi come teologiche, e non perché lo dice Livi, ma solo perché
tali tesi possono dirsi propriamente teologiche (e quindi utili al
rafforzamento della fede dei cattolici) solo quando risultano conformi alla
prime verità costituite dal dogma, ossia dalla Parola di Dio così come viene
proposta infallibilmente dalla Chiesa.
Pubblicato il 29 aprile 2012
mons livi non ha capito che la teologia non è una scienza.
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