Non dimentichiamo che la storia della musica sacra cattolica è anche storia di grandissimi poeti, come ad esempio Venanzio Fortunato (530-600/609), autore di alcuni inni tra i più belli della nostra tradizione come Vexilla regis prodeunt: “Questo inno è storicamente documentato per la prima volta il 19 novembre 569, allorché una reliquia della vera Croce donata dall’imperatore d’Oriente Giustino II fu portata con grande solennità da Tours al monastero della Santa Croce di Poitiers, città di cui Venanzio divenne vescovo nel 597. La sua originaria destinazione processionale è confermata dalla tradizione liturgica della chiesa latina, che lo canta il Venerdì santo al momento in cui si porta l’eucarestia dal repositorio all’altare maggiore, mentre il breviario romano la assegna ai vespri quotidiani dalla domenica di Passione al Giovedì santo, nonché alle ricorrenze della santa Croce”. Il celeberrimo inno si apre con la strofa Vexilla regis prodeunt, fulget crucis mysterium....
Domenico Agasso così descrive la vicenda storica di questo grande poeta: “Una malattia agli occhi ha cambiato la sua vita. Nato al tempo del regno gotico (governato da Amalasunta, figlia di Teodorico, per conto del figlio Atalarico, minorenne) per gli studi è andato “all’estero”, ossia a Ravenna, capitale dei domini bizantini d’Italia: uno dei grandi poli culturali d’Europa. Ha studiato grammatica e retorica, ed ecco questa infermità alla vista e poi la guarigione. Venanzio l’attribuisce all’intercessione di san Martino di Tours: perciò decide di andare a rendergli grazie presso la sua tomba in Gallia. Un pellegrinaggio dal quale non ritornerà più.
Già all’andata è stato bene accolto, nelle soste, da famiglie signorili, conquistate dalle sue poesie in latino, che tutti giudicano sublimi. In verità non è sempre così, ma tra tanti personaggi analfabeti la sua cultura stupisce e incanta. Giunto a Tours, prega sulla tomba di san Martino (al quale dedicherà un poema) e poi passa a Poitiers. Qui conosce un personaggio eccezionale, non perché è una regina, ma perché è singolarmente colta in mezzo a re e principi che non sanno leggere. E' Radegonda, dalla vita infelice: figlia del re di Turingia, sposata per forza a Clotario I re di Neustria (attuale Francia del Nord-Ovest), ha poi avuto un fratello ucciso da lui; e lo ha lasciato. A Poitiers, con la figlia adottiva Agnese, ha fondato e dirige un monastero. L’incontro con queste donne dà un nuovo indirizzo alla vita di Venanzio, ammirato da entrambe per i suoi versi, e al tempo stesso attratto dal loro modo di vivere la fede.
Diventa sacerdote, prende la direzione spirituale del monastero e continua a scrivere. I temi dominanti della sua poesia religiosa sono il culto della Croce, la pietà mariana, il senso della morte, la guida spirituale dei fedeli. Ha una buona conoscenza dei Vangeli, dei salmi, di Isaia e di alcuni Padri della Chiesa, oltre che di numerosi autori latini non cristiani. Il suo inno Vexilla regis prodeunt, in onore della Croce, viene cantato tuttora nella settimana santa, e altri sono stati inseriti nel Breviario. In latino, poi, scrive la vita di sette santi di Gallia, tra cui quella di Radegonda, morta nel 587. Nel 595-97, consacrato vescovo di Poitiers, diviene una figura eminente nella Gallia lacerata da guerre tra i regni e stragi di famiglia. La sua opera di poeta cristiano ispirata a sincera pietà, e la tenerezza che anima certi suoi versi, sono una rara testimonianza di umanità e di fede, nella barbarie del tempo. Venanzio muore un 14 dicembre, forse del 607, e presto lo si venera come santo. “Santo e beato” lo proclama l’iscrizione sulla sua tomba nella cattedrale di Poitiers. L’ha composta verso il 785 Paolo Diacono, storico dei Longobardi, invocando la sua intercessione. La sua festa è posta dal Mrtyrologium Romanum al 14 dicembre, mente la Diocesi di Padova lo ricorda il 15 dicembre”.
A Venanzio Fortunato si devono anche altri inni, come Pange Lingua Gloriosi Proelium Certaminis, inno stupendo alla Santa Croce che si ascolta nelle liturgie della Settimana Santa. Questo inno è certamente uno dei più belli del repertorio gregoriano, sia per la solennità della melodia che per la pregnanza del testo: “terzine di tetrametri trocaici catalettici, fortemente divisi in due emistichi da una cesura centrale, che le conforma a sestine. Il ritmo fortemente cadenzato, da marcia militare (di questo genere erano le marce delle legioni romane: «Ecce, Caesar nunc triumphat, qui subegit Gallias»), è rafforzato dalla coincidenza quasi perfetta tra le sillabe lunghe e gli accenti tonici, che l’avvicina molto a certi testi dei Carmina Burana. Il ritornello, in realtà, è la strofa 8”. Egli è certamente uno dei vertici della poesia religiosa cristiana.
Pubblicato il 10 novembre 2019
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