(illustrazione di Erica Fabbroni)
“La nostra vita”, diceva Charles de Foucauld, “si divide tra preghiera e lavoro, ma la prima ha sempre la precedenza sul secondo”. Sicché, seguendo tale ammonimento, dopo essersi svegliati e alzati, i quattro sacerdoti si diressero nella cappellina della casa per recitare l’Ufficio e dir Messa. Conclusasi l’Eucaristia si portarono, oramai corroborati spiritualmente, nella sala da pranzo per ristorare anche le membra. Del resto, anche il cibarsi risulta necessario, soprattutto a quel gruppo clericale, che doveva affrontare un’altra intensa giornata.
Finita la colazione, chiesero di poter conferire con sua eccellenza. Furono condotti attraverso uno splendido portale intarsiato fino allo studio di sua grazia, dove trovarono ad accoglierli il maggiordomo, accigliato e nervoso, e il segretario, contegnoso e cortese, ma con un’impercettibile traccia, ancora viva negli occhi furtivi e nei lineamenti lievemente vibranti, di quel forsennato terrore della notte prima. Il barone era comodamente seduto su una poltrona e salutò in modo formale, quindi sedette alla scrivania, con la lunga barba fluente sparsa sul piano del tavolo.
Dopo qualche battuta, Padre Brown ruppe il ghiaccio.
«Sappiamo dove si trova suo figlio», si schiarì la voce, «e possiamo indicarle almeno qualcuno di coloro che lo tengono attualmente sequestrato».
La barba del barone si era fatta di un rosso più aggressivo che mai, a contrasto con la sua faccia mortalmente pallida.
«Dov’è?», chiese con tono duro, quasi di sfida.
«Fino a ieri sera si trovava al rifugio».
L’altro rimase imperturbabile.
«E chi sarebbe il sequestratore?», domandò secco.
«Lei», rispose calmo il sacerdote inglese.
Se nessuno dei presbiteri si scompose, il segretario fece una smorfia, mentre il signor Waßon rimase tanto sbalordito dinnanzi a tale rivelazione che spalancò la bocca a pesce e per poco non svenne.
Sir Waldegrave restò, invece, imperturbabile e passarono diversi minuti prima che parlasse.
«Che cosa sapete?», chiese infine.
«Vi abbiamo visti insieme ieri sera», disse don Camillo con pacatezza, «prima è arrivato il suo segretario pedalando a più non posso. Abbiamo avuto cura di controllare la biciletta ed ecco trovato l’altro copertone che aveva lasciato in giro le sue impronte…».
«A quel punto», proseguì don Augusto, «abbiamo pedinato il suo segretario, che ci ha condotti a lei, che era insieme a suo figlio, in una delle stanze del rifugio».
“È evidente”, voleva continuare, ma non pronunciò queste parole, “venisse a riferirle che era stato ritrovato il cadavere di Elmtree, probabilmente, se non certamente, assassinato dal contadino della malga, se di contadino si trattava, appostato di proposito per l’agguato”.
«Chi altri è informato della cosa?».
«Non ne abbiamo parlato con nessuno», rispose don Matteo.
«Bene, davvero», riprese l’altro con sorriso maligno sul volto, «siete stati davvero bravi, ma ora andiamo a festeggiare nella sala da pranzo la conclusione di questo intricato caso».
“Festeggiare?”, pensarono con orrore i preti cattolici. Mentre si muovevano nei corridoi si scambiarono qualche veloce parola, la cosa in sé non si spiegava per nulla: perché erano stati chiamati? Perché inscenare un rapimento? Perché mostrare loro un manoscritto falso? Perché ammazzare uno definito “amico” e che loro neppure conoscevano?
I quattro iniziarono a ragionare in modo silenzioso, solo Waßon si agitava preoccupato e sempre più sudato.
Una volta entrati nello stanzone dovettero attendere ancora parecchio tempo prima che sua grazia si facesse vivo. Finalmente fu annunciato dal suo fido segretario.
«Lo so», iniziò il suo sermone una volta entrato teatralmente nella stanza, «vi starete chiedendo come mai vi ho trascinato in questa strana, se non pittoresca, situazione. Devo ammetterlo e mi duole, ma avevo bisogno di voi. Forse non di tutti e quattro, ma avevo necessità del vostro ingegno, o quantomeno dell’ingegno di uno di voi. Ma come facevo a sapere che vi sareste tutti recati di corsa a porgermi i vostri servigi?».
Si fermò guardando con profondità uno a uno, «Dovevo intuirlo dal fatto che siete degni uomini di Dio? No! Se lo foste, sareste rimasti avvolti nell’anonimato a dire i vostri inutili oremus, e oggi non sareste qui. E invece? Invece avete cercato la gloria mondana, la fama, il successo, realtà queste che vi renderanno martiri. Sì, i vostri nomi rimarranno scritti nella storia grazie a me! Purtroppo per voi è necessario, come sempre, un prezzo da pagare…».
Gli uomini in talare lo guardavano come si osserva un folle in pieno delirio.
«Come si ottiene tutto questo?», e indicò le pareti intorno a lui, «Come si arriva al potere, al dominio sugli altri, ad avere tanto denaro da non riuscire più a contarlo? Lo so, con voi non c’è bisogno di dilungarsi: non siete del mondo, ma lo conoscete fin troppo bene!».
Fece una pausa, «Il debole deve morire, immolarsi per il più forte. L’aiuto di amici deve essere ripagato, spesso con alti interessi, chi tradisce va eliminato e via discorrendo».
I quattro lo fissavano sempre più sgomenti: Padre Brown chiuse gli occhi e sospirò, don Matteo lo scrutò con ancor più attenzione attraverso quegli occhi azzurro cielo, don Camillo sembrava parlare con se stesso, ma invero si stava rivolgendo al suo Cristo, e don Augusto scosse leggermente la testa.
«Forse non ve l’ho detto», riprese l’altro, «ma a me piacciono le sfide. E questa è stata entusiasmante! Devo complimentarmi, sinceramente. Forse, se fosse venuto uno solo di voi ci avrebbe messo di più, ma insieme siete stati magnifici!».
«Ma perché…?», chiesero.
«Perché?», rise l’altro, «Vi ho appena fatto dei complimenti, non deludetemi proprio sul finale! Ma perché la verità è così: non la si conosce tutta, solo un piccolo pezzettino, quello che appare. No, avete ragione: avete, sì, risolto il caso, ma non siete ancora arrivati a comprendere il motivo che ha mosso ogni cosa. Non voglio farvi perdere tempo o meglio non desidero sprecarlo io».
Si fermò un attimo.
«Il signor Elmtree non era una cattiva persona, ma voleva fare lo spione e sapete perché? C’è da ridere… perché aveva conosciuto un prete maldetto come voi, che gli ha dato fiducia, che gli ha instillato nel cuore il convincimento che la redenzione è possibile per tutti, perché la cosa che conta è l’amore…».
Concluse la frase soffocandola in una risata sguaiata.
«L’amore…», disse ancora, «povero me. Mi è parso giusto chiamare uomini della vostra setta per far ricadere su di loro la colpa. Tanto il vostro Dio mi perdonerà! Non è la quintessenza della misericordia?».
Rise ancora come un pazzo.
«Lui ti perdonerà», intervenne don Matteo con un sorriso compassionevole, «se tu ti pentirai…».
«Non ci provare, prete!», rispose l’altro, «Non mi incanterete con le vostre barzellette! Voi siete qui per uno scopo! Elmtree doveva essere eliminato in modo discreto. Niente doveva e deve ricollegarmi a questo omicidio. Infatti, nessuno mi ha visto né mi vedrà, nessuna indagine condurrà a me. Nessuno saprà!».
«Ma signore», si intromise a un certo punto un Waßon piagnucolante.
«Ah sì», continuò l’altro, «grazie fedele servitore! Capisci perché devi fare la loro fine? Tu hai svolto tutto quello che ti ho chiesto. Te solo hanno visto, tu soltanto ti sei esposto, a te soltanto condurranno tutte le indagini».
«Quel canchero vuole ammazzarci!», esclamò don Camillo furente, pronto a innestare la marcia.
«Sir Waldegrave, ma che vuol fare?», domandò pieno di paura il maggiordomo.
«Caro Waßon», rise l’altro, «ognuno ha il suo scopo nella vita: il tuo è stato quello di servirmi per tutta la tua inutile esistenza… diciamo che questo è l’ultimo servigio di cui ho bisogno! Ora ti spiego come sono andati fatti: questi bravi sacerdoti cattolici hanno trovato l’assassino di Elmtree, ma quel criminale, senza pietà, è riuscito, una volta scoperto, ad ammazzarli tutti e quattro…».
«… e io sarei quel criminale?», replicò il povero governante impallidito in un raro lampo di genio.
«… elementare!», esclamò il barone, «Trovato il colpevole, non faranno altre indagini…».
«Ma signore», lo apostrofò ancora così a causa dell’abitudine e furono le ultime parole che uscirono dalla sua bocca, «io non mi piegherò mai a tale disegno e non testimonierò mai di aver ucciso tutte queste persone!».
«Caro Waßon», si intromise don Augusto, «lei non sopravvivrà per raccontarlo. Credo che sua eccellenza troverà il modo di eliminarla dopo aver assassinato noi: un suicidio, un ferimento che porta al decesso o altro ancora…».
L’altro ammutolì e per un attimo il silenzio si propagò in tutta la stanza, fin quando, inizialmente titubante, fu squarciato da Padre Brown con una domanda.
«Non capisco la storia del manoscritto?».
«Complementi», riprese l’altro follemente divertito, «anche in punto di morte non le manca la curiosità! Davvero non comprende? Mi sembra ovvio. Ho deciso quel diversivo per gioco, per puro divertimento, e per saggiare le vostre capacità. E devo dire non mi avete deluso neppure in quel caso».
Era ormai certo, pensarono all’unisono i quattro in talare, e lo compresero in un attimo, come un fulmine a ciel sereno, che chi avevano incontrato alla malga e al rifugio non erano altri che figuranti di quella recita. Ciò spiegava il motivo per cui non si erano viste altre persone in quei giorni, all’infuori di chi era coinvolto nella vicenda.
«Scusate», riprese l’altro ormai in piedi, «ma io non faccio mai il lavoro sporco».
A quel punto, il segretario tirò fuori una pistola e la puntò verso di loro.
Passarono secondi lunghi come l’eternità, fintantoché, in maniera assai inaspettata, si sbriciolò una delle finestre del salone. Tutti si voltarono a vedere chi fosse e in quel momento don Camillo bofonchiò qualcosa di incomprensibile.
“Cosa faccio, Signore?”, domandò.
“Basterebbe un tuo destro, don Camillo, come quella volta che sul ring hai difeso Peppone!”, rispose la voce del Cristo.
Il reverendo arciprete sparò un colpo così ben piazzato all’uomo con la pistola che rovinò a terra con un rumoroso tonfo. Era stato, senza dubbio alcuno, un formidabile knock-out!
Quello che avvenne dopo ha dell’incredibile: chi era entrato dalla finestra era Flambeau, l’investigatore privato, una volta ladro, amico di Padre Brown. Il padrone della casa, che si chiamasse Waldegrave o altro – ormai aveva poca importanza –, chiamò a quel punto rinforzi che giunsero subito, ma inseguiti da Bud Spencer, da Peppone e dal maresciallo Cecchini, il quale intimò di gettare le armi, lui che l’aveva saldamente in pugno.
I malviventi, colti di sorpresa alle spalle, non poterono far altro che obbedire, ma lanciate le armi si trovarono addosso un Peppone scatenato e intenibile e un Bud Spencer ispirato. La scena è impossibile da raccontare. Don Camillo e don Augusto non persero tempo e si buttarono nella mischia. Don Matteo scambiò uno sguardo complice con il Maresciallo che cercava invano di sedare gli animi, ma alla fine dovette allontanarsi dalla rissa con la scusa di dover proteggere Padre Brown. Il suo amico prete, invece, schivò un colpo e assestò due formidabile sberle a uno degli aggressori.
Alla fin fine il clero e soccorritori sgominarono quella banda di delinquenti, lasciandoli tutti stesi malconci e privi di senso sul pavimento.
Finita la scazzottata i vincitori si salutarono, si abbracciarono e per chi non si conosceva trovarono pure il tempo per presentarsi.
«Reverendi», esclamò Poppone, «possibile che riuscite sempre a cacciarvi nei guai!».
«Per fortuna c’è il sindaco Bottazzi a tiracene fuori!», rispose don Camillo, sfoderando un gran sorriso.
«Lo può ben dire, solo io ho il diritto di farle la pelle, quando verrà l’alba luminosa della riscossa…».
Peppone era talmente su di giri che avrebbe potuto fare da solo la rivoluzione.
«Ma come avete fatto a trovarci?», chiese con fare grato don Matteo.
«Come, come?», riprese Peppone, che non si era ancora spento e pareva in piena campagna elettorale, «Ricordate, caro reverendo signore, che i nostri padri hanno difeso la patria dall’invasore allora e noi siamo pronti oggi a tornare sul Carso e sul Monte Grappa dove abbiamo lasciato la meglio gioventù italiana. Dovunque è Italia dappertutto è Monte Grappa quando il nemico si affaccia ai confini sacri della patria! Dite ai diffamatori del popolo italiano che, se la Patria chiamasse, i vostri padri, ai quali brillano sul petto le medaglie al valore conquistate nelle pietraie insanguinate, giovani e vecchi si ritroveranno fianco a fianco e combatteranno dovunque e contro chiunque nemico, per l’indipendenza d’Italia e al solo scopo del bene inseparabile del Re e della Patria!».
Ma sì, il Re… era un discorso da manuale, perché nato dal cuore, che a Peppone ritornò in mente a motivo dell’adrenalina da smaltire. Dopo il proclama, si afflosciò su una sedia e don Camillo, pronto, gli portò un bicchiere colmo di grappa.
«Il merito è stato del mitico Bud, che io non pensavo neppure esistesse davvero, credendolo una figura mitica», disse Cecchini, «è lui che si è insospettito subito, così Flambeau si è messo a cercarvi e quando vi ha trovato ci ha avverti e, grazie a Dio, siamo arrivati giusto in tempo».
Tutti lo ringraziarono e don Augusto andò ad abbracciarlo e gli disse quelle stesse parole che furono pubblicate cent’anni fa.
«Si sta come / D’autunno / Sugli alberi / Le foglie».
«Per questo, caro amico mio», gli rispose quel grande personaggio, «non si deve sprecare il tempo, dono immenso che ci è stato dato. E per lo stesso motivo abbiamo bisogno della fede. Credere in Dio è ciò che ci salva e io non potrei proprio vivere senza credere. E se la vera vita, quella eterna, ci attende, ho pensato però che non bisogna anticipare il volere di Quello lassù e così eccomi qui, al momento debito».
Poco dopo arrivò anche la polizia avvisata dal solerte Maresciallo e ogni cosa fu sistemata. Mentre venivano portati via i delinquenti, i quattro sacerdoti si affiancarono al baronetto e, quando gli passò accanto, don Matteo lo prese per il braccio.
«La redenzione è per tutti», gli disse con gli occhi lucidi di commozione, «Cristo è morto per te, perché tu possa rinascere a vita nuova con lui! Diceva santa Caterina da Siena che il perdono di Dio è più certo della nostra stessa esistenza».
«Sì», gli fece eco Padre Brown con tono accorato, «non si faccia divorare dal male, il bene è più forte, seppur può capitare vesta più debolmente all’apparenza… si ricordi: c’è sempre possibilità di convertirsi…».
«… c’è sempre possibilità di perdono…», aggiunse don Camillo
«… c’è sempre speranza…», sussurrò, infine, don Augusto.
Quello abbassò gli occhi e fu portato via, chinò il capo non perché avesse fatto sue fino in fondo quelle parole, ma perché era stupito che coloro che voleva vilmente uccidere erano ora preoccupati della sua salvezza eterna.
A un dato momento, disse con il suo linguaggio approssimativo Peppone, tra le approvazioni gioiose di tutti, anche del povero Waßon, ancora atterrito per quanto accaduto, «Politica a parte, se il Dio cattolico non esistesse, andrebbe proprio inventato!».
“Non ce n’è bisogno, figlioli miei, Lui esiste già, da sempre, e voi potete conoscerlo e amarlo come Lui vi ama”, rispose il Cristo con un tenero sorriso e tutti poterono percepire la sua voce nel proprio cuore.
Pubblicato il 27 giugno 2018
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