di Fabio Petrucci
«Il nostro incontro è il messaggio». Con queste parole Papa Francesco ha accolto in Vaticano il Grande Imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyib. Il colloquio tra i due offre l'occasione più appropriata per riflettere non proprio sui rapporti tra cristianesimo ed islam, quanto piuttosto su alcune problematiche storico-politiche interne al mondo islamico sunnita, le quali costituiscono il principale fattore causale delle difficili relazioni che quest'ultimo intrattiene con i cristiani.
Al fine di comprendere l'importanza dell'incontro è però necessario iniziare tratteggiando un profilo dell'Imam al-Tayyid e dell'istituzione da lui rappresentata. Ahmad al-Tayyib ha fama di uomo colto e gentile. Come teologo e filosofo può vantare una ormai lunga carriera accademica in Egitto ed all'estero (ha studiato ed insegnato anche in prestigiosi centri del sapere europei come la Sorbona di Parigi e l'Università di Friburgo). Dopo aver ricoperto brevemente la carica di Gran Muftì d'Egitto tra il 2002 ed il 2003, al-Tayyib è stato nominato Grande Imam di al-Azhar nel 2010 dall'allora presidente Mubarak. Legato a quest'ultimo anche dall'appartenenza politica, al-Tayyib non ha fornito alcun appoggio alla rivoluzione egiziana del 2011. Per questa ragione e per via delle divergenze teologiche, l'Imam è stato fortemente criticato dai Fratelli Musulmani, dominatori della scena politica egiziana fino alla presa del potere di al-Sisi nel 2013. Quello incontrato dal papa è dunque un uomo non pienamente indipendente dal potere politico, costretto a frequenti esercizi di equilibrismo nelle complesse vicende egiziane, ma di certo lontano (ed anzi avversario) delle correnti più oltranziste dell'islam. A testimonianza di ciò, negli ultimi anni, insieme al Patriarca copto Teodoro II, al-Tayyib si è anche impegnato per migliorare le relazioni inter-religiose nel paese e per prevenire il fondamentalismo.
Come 44° Grande Imam di al-Azhar, al-Tayyib ricopre una delle cariche di maggior prestigio nel mondo islamico, da taluni considerata la più importante autorità teologico-giuridica sunnita. L'Università-Moschea al-Azhar vanta infatti una storia antica e complessa. Fu istituita nel X secolo dal condottiero Giafar il Siciliano, conquistatore d'Egitto per la dinastia sciita dei fatimidi e fondatore de Il Cairo. Da roccaforte sciita, dopo la conquista di Saladino si trasformò in una delle principali sedi della riflessione teologico-filosofica sunnita. Tale è rimasta fino ai nostri giorni e da ciò deriva l'enfasi mediatica animata da eventi quali la visita di Obama nel 2009 e l'incontro in Vaticano tra il Papa ed il Grande Imam. Come sottolineato da padre Samir Khalil Samir, gesuita e studioso dell'islam, al-Azhar è anche l'ateneo che forma ogni anno il maggior numero di imam sunniti. Di conseguenza, avendo presenti il prestigio e l'importanza di questa istituzione, l'incontro tra il Papa ed al-Tayyib è certamente una buona notizia, soprattutto in quanto rappresenta la spia di una sostanziale distensione nei rapporti tra Vaticano ed Egitto, divenuti tesi dopo l’attentato alla cattedrale copta di Alessandria nel 2011 e le conseguenti parole di Papa Benedetto XVI in difesa dei cristiani, erroneamente interpretate come espressione di una presunta “ingerenza politica”.
Tuttavia, al di là dei risvolti indubbiamente positivi dell’incontro, è necessario considerare quest’evento nella sua giusta portata. Il Grande Imam di al-Azhar è, come già detto, una personalità di notevole rilievo nel mondo sunnita, ma non ha un’autorità teologico-giuridica paragonabile a quella di un pontefice cattolico o quella politica propria dei califfi dei secoli scorsi. Non ha il potere di rendere vincolante per tutti i sunniti una data interpretazione della religione musulmana. Da quest’assenza di un potere centrale e frenante, forse, derivano molti dei problemi che attanagliano il mondo islamico, specialmente nella sua variante maggioritaria ed “ortodossa”, ossia quella sunnita. Questo stato di semi-anarchia che perdura da decenni ha indubbiamente favorito un innegabile processo di radicalizzazione politico-religiosa. Una radicalizzazione, peraltro, promossa a suon di denaro da regimi integralisti e dispotici come quello dell’Arabia Saudita, patria del wahhabismo, tra le correnti teologiche più puriste e fanatizzate sviluppatesi nel corso della storia islamica. Il verbo velenoso del fondamentalismo ha scatenato, come sappiamo, una vera e propria industria del terrore che semina il panico nelle capitali occidentali e devasta con la guerra il cuore del Medio Oriente e della stessa Civiltà, quello spazio talvolta ribattezzato “Siraq”.
Dinanzi a questa situazione l’Occidente “post-cristiano” ha numerose colpe, le quali affondano le proprie radici nell’opportunismo e nella scarsa lungimiranza dimostrata nell’ultimo secolo di politica mediorientale. Solo a titolo di esempio, l’istituzione del dominio saudita in gran parte della penisola arabica, con la presenza del peggior regime dell’intero mondo islamico ̶ nonché della principale centrale d’emanazione del fondamentalismo in giro per il mondo ̶ si verificò dopo la prima guerra mondiale con la compiacenza della Gran Bretagna, confinando i decisamente più moderati hashemiti nella piccola Giordania. All’approssimarsi della fine della seconda guerra mondiale, quello stesso regime saudita si assicurò la propria fortuna futura tramite il patto d’acciaio siglato con gli USA a bordo dell’incrociatore Quincy. Sono passati oltre settant’anni ed il fondamentalismo promosso dai sauditi nel corso degli ultimi decenni, spesso con il sostegno più o meno velato degli USA contro i propri avversari strategici (dall’URSS alla Serbia, dalla Libia alla Siria) è diventato un cancro che minaccia non solo l’intero spazio che dal Maghreb arriva al Sud-Est asiatico, ma il cuore stesso dell’Europa, come dimostrato dai fatti di Parigi e di Bruxelles. Dinanzi a tutto ciò, l’incontro in Vaticano tra il Papa e l’Imam è una piccola fiaccola di speranza tra l’oscurità più fitta.
Pubblicato il 24 maggio 2016
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