di Andrea Virga
Le
ultime elezioni hanno indubbiamente sancito un’ulteriore contrazione del peso
politico delle destre in Italia. Specifichiamo però cosa s’intende con
l’espressione «destra»: parliamo di quelle forze politiche caratterizzate
dall'identificazione del soggetto politico con la comunità nazionale – dunque
non con l’individuo né con la classe o la società – legata al territorio, dalla
difesa delle norme morali e dei valori sociali tradizionali – popolarmente
sintetizzati come Dio, Patria, Famiglia –, dal rafforzamento dell’autorità delle
istituzioni pubbliche – aldilà della maggiore o minore presenza in ambito
economico. Si tratta perciò di un’area privilegiata (ma non l’unica beninteso!)
per portare avanti una politica cattolica.
Alcune
precisazioni: il primo punto elencato, con il rifiuto dell’individualismo, ci
porta ad escludere necessariamente la “destra” liberale. Inoltre, ai fini della
nostra analisi, lasceremo da parte quell’area legata al fascismo, ossia Forza
Nuova e CasaPound Italia, estremamente minoritaria (0,4% dei voti alla Camera),
ma già attestata su posizioni nazional-rivoluzionarie, anche per via del
rapporto non univoco tra fascismo e destra. Inoltre, questa tornata elettorale
ha visto polarizzarsi i consensi intorno ai tre principali partiti (PD, PDL e
M5S), a tutto svantaggio degli altri partiti, i cui voti sono stati assorbiti dalla retorica dei tre poli: rispettivamente, contro il Populismo, contro la
Sinistra, contro la Casta. Naturalmente, è stato il movimento di Grillo a
trarre il massimo vantaggio da questa situazione, appropriandosi di tematiche e
voti provenienti da destra, il che però non è sufficiente ad ascriverlo a
questa parte politica.
I
partiti propriamente “di destra” sono perciò la Lega Nord (4,08%; 36
parlamentari), di orientamento localista e populista, non priva di sprazzi
sovranisti ed euroscettici, ma devastata dagli scandali riguardanti il suo
leader storico Umberto Bossi; Fratelli d’Italia (1,95%; 9 parlamentari),
essenzialmente una scissione dal PDL, a ricostituzione della defunta Alleanza
Nazionale; La Destra (0,65%; non rappresentata in Parlamento), staccatasi da AN,
di cui rappresentava la corrente sociale contraria a confluire nel PDL. A
questi andrebbero aggiunti partitini come il neo-missino Fiamma Tricolore e il
cattolico Io Amo l’Italia (0,25% in tutto), ma soprattutto quei settori della
destra sociale, nazionale e cattolica ancora presenti nel Popolo delle Libertà,
ma difficili da stimare numericamente. Eccettuati quest’ultimi, non si arriva
al 7% quanto a voti.
Eppure,
precedentemente, queste stesse forze contavano su risultati elettorali ben più
consistenti: nel 2006, nonostante la sconfitta elettorale, AN ottenne il 12,34%
dei consensi (terzo partito), la Lega il 4,58% e gli altri partitini l’1,41%,
per un totale del 18,33% e 151 parlamentari. Due anni dopo, pur essendo AN
all’interno del PDL, i consensi crebbero ancora, sfiorando un quarto del
totale. Nel periodo tra 2001 e 2011, del resto, avevano governato per ben otto
anni su dieci, dominando la coalizione di centrodestra, ma di questo decennio
di preminenza politica non resta più alcuna traccia, complice anche la totale
mancanza, negli ultimi vent’anni, di qualsiasi politica culturale organica, con
la parziale eccezione del mondo cattolico, che ha bene o male conservato le sue
cittadelle, ma senza mai ragionare in termini di nazione e non solo di fede.
Bisogna
altresì tenere presenti due fattori cruciali per la situazione delle destre
italiane. Il primo è legato alla collocazione dell’Italia in termini di
politica internazionale. Dopo la drammatica sconfitta nella Seconda Guerra
Mondiale, il nostro Paese è sempre stato occupato militarmente dagli Stati
Uniti d’America, costituendo uno dei principali membri dell’alleanza atlantica
(la NATO). Durante tutta la Guerra Fredda, grazie anche allo strumento
ideologico dell’anticomunismo, le destre italiane – compresi quei fascisti che
fino al 1945 si erano battuti contro gli Alleati – costituirono un importante
sostegno filostatunitense in Italia, di contro alle sinistre filo-sovietiche e
a quei centristi fautori di una politica più autonoma (Fanfani, Mattei, Moro,
Craxi). Tuttavia, dopo la caduta del Muro di Berlino, nel nuovo mondo
unipolare, anche il centrosinistra si è riciclato in chiave atlantista ed
europeista, al punto da sottrarre al centrodestra il ruolo d’interlocutore
privilegiato delle classi dirigenti occidentaliste di qua e di là
dall’Atlantico.
Il
secondo fattore cruciale, e peculiare all’Italia, è costituito dalla figura di
Silvio Berlusconi, il magnate che ha guidato, in maniera assolutamente
personalistica, il centrodestra negli ultimi vent’anni. È principalmente a lui
che si deve – stante il suo pragmatismo pressoché alieno da considerazioni
ideologiche – lo sdoganamento dei postfascisti di Alleanza Nazionale e dei
local-populisti della Lega Nord, ossia due formazioni politiche entrambe
estranee al vecchio “arco costituzionale” nato dal CLN. Inoltre, egli ha
saputo, grazie ai suoi contatti preesistenti e al suo fare appello a una
cospicua parte del vecchio elettorato di centrodestra rimasto orfano della DC e
del PLI (ma anche del PSI craxiano), costituire una nuova formazione politica
del tutto eterogenea, ma legata a sé dal proprio carisma televisivo e dalle
proprie risorse economiche.
Nessuno
di questi fattori è eterno: l’egemonia statunitense si sta lentamente
indebolendo di fronte all’ascesa multipolare dei BRIC (Brasile, Russia, India,
Cina), e Berlusconi si avvicina ormai agli 80 anni. Una volta che Berlusconi
uscirà di scena, è molto probabile che verrà a saltare il legame tra il
centrodestra liberale e la destra nazionale. Mentre il primo troverà naturale
l’aggregazione con il centro liberista – l’emergere di un partito come Fare per
Fermare il Declino è già indicativo di queste tendenze –, il secondo invece
fonda i suoi consensi tendenzialmente sui ceti medi, in generale impoveriti
dalle politiche fiscali eurocentriche. In più, è plausibile anche che nel giro
di pochi anni si possa sgonfiare il consenso ottenuto dal M5S, dovuto
essenzialmente al voto di protesta. Queste sono le prospettive politiche verosimili
a medio termine.
In
questo quadro, è evidente come le destre italiane, se vogliono sopravvivere
come forza politica, debbano operare una scelta netta e radicale: la
costituzione di un partito – o di una coalizione se ciò può meglio tenere
assieme le diverse anime – nazionalpopolare ed euroscettico schierato contro il
centro liberale e progressista. Le sue bandiere devono essere la sovranità nazionale,
l’economia sociale di mercato, la difesa dei principi non negoziabili. Non è necessario essere fascisti per essere
patrioti: gli esempi di Charles De Gaulle, ieri, o di Viktor Orban o di Marine
Le Pen, oggi, mostrano che una destra realmente nazional-conservatrice ma in
grado di guidare democraticamente il Paese, è possibile. Certo, rimarrebbe
comunque interna alla democrazia liberale e all’economia di mercato, ma
costituirebbe una forza politica decisamente preferibile a quelle che dominano
la scena attuale in Occidente e soprattutto attenta alla dottrina sociale
cattolica.
Per fortuna non sarà certo l'autore di questo post a rifondare il centrodestra.
RispondiEliminaAnalisi parziale, arroccata su una visione anacronistica, che in uno scenario fantapolitico destinerebbe il centrodestra a un vicolo cieco in meno di due elezioni.
Prosit.
t.p.
A me interessano le destre, che difficilmente potranno peggiorare la loro situazione. Il tuo centrodestra, invece, è già al governo consociato con il centrosinistra. :)
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