di Paolo Maria Filipazzi
La prima reazione, quando ho appreso “la notizia”, è stata di
proporre, ironicamente, un minuto di trenino, al posto del canonico minuto di
silenzio. Per correttezza, non volendo prendere meriti non miei, preciso che la
paternità della battuta è del comico Maurizio Crozza, che per primo lo propose
all’indomani delle dimissioni del Governo Berlusconi. Fatta questa
precisazione, è bene fare una riflessione più profonda sull’epoca che si
chiude.
Comincio con il consigliare qualche libro. Uno è uscito da poco: “Non giudicare. Conversazioni con i veterani del garantismo”, di Guido Vitiello (Liberilibri). Di un anno fa è “Il partito dei magistrati. Storia di una lunga deriva”, di Mauro Mellini (Bonfirraro Editore). Infine, nel 2010 è stato ristampato “L’uso politico della giustizia” di Fabrizio Cicchitto (Oscar Mondadori). Dalla lettura di questi volumi esce il quadro di come decenni fa abbia preso piede, da parte di una certa magistratura, una concezione di se stessa come di una sorta di élite rivoluzionaria di leniniana memoria. E magari si scoprirà anche la storia della svendita del patrimonio, prima di aziende pubbliche e poi di colossi privati, che aveva fatto la grandezza del nostro capitalismo nel dopoguerra a grandi gruppi finanziari internazionali, svendita avvenuta in contemporanea allo smantellamento giudiziario di quella classe politica della Prima Repubblica che giammai lo avrebbe permesso. E magari si capirà come andò veramente la storia di Bettino Craxi, l’uomo di Sigonella, lo statista che riscoprì, da sinistra, la Patria, inalberando, accanto a quella del socialismo, la bandiera Tricolore, e di come fu che finì in quella seconda Piazzale Loreto che fu il lancio delle monetine all’uscita dall’Hotel Rafael.
E allora si spiegheranno molte cose. Si spiegherà la vera
genesi dell’epopea berlusconiana, prima un capitolo, poi la necessaria
continuazione, di quella craxiana. Si spiegherà che la sua “discesa in campo”
fu davvero la risposta ad una impellente responsabilità storica. Si spiegherà, alla
luce di questo, anche la vera storia dei suoi processi, come anche la
vera storia di Carlo De Benedetti, il deus
ex machina di quella galassia di partiti, movimenti e giornali che per 18
anni hanno fatto la guerra al Cavaliere. De Benedetti è l’avente causa in Italia della famiglia Rotschild, massima beneficiaria della svendita del nostro
patrimonio pubblico negli anni Novanta e guardacaso tra gli azionisti di quell’Economist che, dalla City di Londra, è diventato l’organo
ufficiale di tutti i nemici sparsi per il mondo dell’Italia, rea di rieleggere
Berlusconi ogni volta.
Ma dato atto di tutto questo, è anche ora di dire che Berlusconi, quell’appuntamento con la Storia l’ha mancato. Il vittimismo dei suoi ultimi ultras dice che “non l’hanno lasciato governare”. Ovvio, che si aspettava? La vere cause del suo rovinoso declino sono altre. In primis, il suo cesarismo, nel senso spengleriano del termine. Il Cavaliere non è mai stato in grado e non ha mai nemmeno voluto creare una forza politica strutturata: Forza Italia prima e il Popolo della Libertà poi sono stati movimenti personalistici, in cui non esisteva la classe dirigente ed in cui le ascese ed i declini erano determinati dalla valutazione del capo, basata sul criterio della piaggeria alla sua persona. Questa è stata la debolezza intrinseca di una forza politica che poteva essere grande e che invece si è rivelata, per il momento, microscopica, popolata di buoni a nulla e di affaristi. Va detto che il malcostume dilagante sotto tutti gli aspetti (da quelli legali a quelli “rosa”) esiste ed è di questo che l’esperienza politica berlusconiana è morta, soffocata nel discredito di cui da sola si era ricoperta. Va detto che l’accanimento nei confronti del capo è diventato ad un certo punto poco più che un comodo alibi per personaggi che alla Magistratura avevano davvero qualcosa di cui rendere conto. E va detto che la totale dipendenza dal proprio leader e l’incapacità di costruire leadership alternative, obbligando la più grande forza politica del Paese a ridurre la propria proposta politica ad un puro e semplice mantenimento in vita a tutti i costi di un uomo finito, ha fatto a questa nostra povera Patria un male incalcolabile. E alla fine la sua resa, con l’appoggio al Governo Monti, ha vanificato 18 anni di lotta, consegnando l’Italia ai suoi profittatori, sicchè dell’esperienza berlusconiana, un’esperienza per certi versi gloriosa, rimarrà alla fine ben poco.
In quanto cattolici, poi, è d’obbligo per noi fare un
bilancio dell’esperienza politica berlusconiana anche alla luce dei principi
non negoziabili. Berlusconi è stato tutto fuorchè il campione della Cristianità,
intendiamoci, ma gli va dato atto almeno di avere mantenuto un atteggiamento di
sostanziale rispetto nei confronti dei valori condivisi dalla maggioranza dei
suoi elettori, in gran parte cattolici (i quali, molto spesso, lo hanno votato
“turandosi il naso”) e di aver portato in Parlamento persone in larga
prevalenza almeno non ostili alla Chiesa cattolica e alla sua Dottrina Sociale.
E se da un lato non ha fatto nulla per abolire o modificare le leggi contro il
diritto naturale già presenti nel nostro ordinamento, almeno la marcia delle
leggi nichiliste che nel resto dell’Occidente è proceduta a tappe forzate, in
Italia si è arrestata o rallentata. Paradossalmente, però, non è mai stato in
grado di proporre un modello alternativo basato sui valori forti. Basta vedere
l’orgia di sesso, relativismo e volgarità che quotidianamente da anni le sue
reti rovesciano nelle nostre case, costituendo la prima causa del decadimento
morale nei costumi della nostra società. E questo, purtroppo, rischia di essere
il suo lascito principale.
In conclusione, da oggi avremo qualcosa in più di cui essere nostalgici. Ma più che di Berlusconi e di ciò che effettivamente è stato, avremo nostalgia della speranza in ciò che avrebbe potuto essere.
Comincio con il consigliare qualche libro. Uno è uscito da poco: “Non giudicare. Conversazioni con i veterani del garantismo”, di Guido Vitiello (Liberilibri). Di un anno fa è “Il partito dei magistrati. Storia di una lunga deriva”, di Mauro Mellini (Bonfirraro Editore). Infine, nel 2010 è stato ristampato “L’uso politico della giustizia” di Fabrizio Cicchitto (Oscar Mondadori). Dalla lettura di questi volumi esce il quadro di come decenni fa abbia preso piede, da parte di una certa magistratura, una concezione di se stessa come di una sorta di élite rivoluzionaria di leniniana memoria. E magari si scoprirà anche la storia della svendita del patrimonio, prima di aziende pubbliche e poi di colossi privati, che aveva fatto la grandezza del nostro capitalismo nel dopoguerra a grandi gruppi finanziari internazionali, svendita avvenuta in contemporanea allo smantellamento giudiziario di quella classe politica della Prima Repubblica che giammai lo avrebbe permesso. E magari si capirà come andò veramente la storia di Bettino Craxi, l’uomo di Sigonella, lo statista che riscoprì, da sinistra, la Patria, inalberando, accanto a quella del socialismo, la bandiera Tricolore, e di come fu che finì in quella seconda Piazzale Loreto che fu il lancio delle monetine all’uscita dall’Hotel Rafael.

Ma dato atto di tutto questo, è anche ora di dire che Berlusconi, quell’appuntamento con la Storia l’ha mancato. Il vittimismo dei suoi ultimi ultras dice che “non l’hanno lasciato governare”. Ovvio, che si aspettava? La vere cause del suo rovinoso declino sono altre. In primis, il suo cesarismo, nel senso spengleriano del termine. Il Cavaliere non è mai stato in grado e non ha mai nemmeno voluto creare una forza politica strutturata: Forza Italia prima e il Popolo della Libertà poi sono stati movimenti personalistici, in cui non esisteva la classe dirigente ed in cui le ascese ed i declini erano determinati dalla valutazione del capo, basata sul criterio della piaggeria alla sua persona. Questa è stata la debolezza intrinseca di una forza politica che poteva essere grande e che invece si è rivelata, per il momento, microscopica, popolata di buoni a nulla e di affaristi. Va detto che il malcostume dilagante sotto tutti gli aspetti (da quelli legali a quelli “rosa”) esiste ed è di questo che l’esperienza politica berlusconiana è morta, soffocata nel discredito di cui da sola si era ricoperta. Va detto che l’accanimento nei confronti del capo è diventato ad un certo punto poco più che un comodo alibi per personaggi che alla Magistratura avevano davvero qualcosa di cui rendere conto. E va detto che la totale dipendenza dal proprio leader e l’incapacità di costruire leadership alternative, obbligando la più grande forza politica del Paese a ridurre la propria proposta politica ad un puro e semplice mantenimento in vita a tutti i costi di un uomo finito, ha fatto a questa nostra povera Patria un male incalcolabile. E alla fine la sua resa, con l’appoggio al Governo Monti, ha vanificato 18 anni di lotta, consegnando l’Italia ai suoi profittatori, sicchè dell’esperienza berlusconiana, un’esperienza per certi versi gloriosa, rimarrà alla fine ben poco.

In conclusione, da oggi avremo qualcosa in più di cui essere nostalgici. Ma più che di Berlusconi e di ciò che effettivamente è stato, avremo nostalgia della speranza in ciò che avrebbe potuto essere.
Articolo equilibrato ma non democratico.
RispondiEliminaOttimo!
spero che questo commento non sia considerato blasfemo, è solo un accostamento che mi è venuto in mente leggendo il titolo: Silvio se na va, com'è scritto di lui... ;)
RispondiEliminala storia di Bettino Craxi andò in un modo piuttosto lineare. Ladro, beccato a rubare, muore da latitante.
RispondiEliminaNon mi par difficile.
anche su berlusconi la sintesi è semplice. E' "sceso in campo" per farsi i cazzi propri.
E per farseli non si è vergognato ad allearsi con chi il tricolore lo ha sempre guardato con ammirazione (AN) e con chi ci si pulisce il culo (Lega), con cattolici (CCD, UDC o come si chiamava all'epoca) e Radicali.
Non ha neanche tentato di fare leggi liberali di cui abbiamo tanto bisogno: le sue priorità è sempre stata l'impunità
la destra italiana (quella vera e seria, non criptofascisti o craxiani ricilati) deve solo ringraziare Berlusconi ed i suoi tirapiedi per essere stata annientata.
@ultimo Anonimo: scusa, ma quale sarebbe la "destra italiana vera e seria" prima di Berlusconi, considerato che escludi i "criptofascisti"? Il PLI? La corrente andreottiana della DC? Di cosa stai parlando? Spiegami.
RispondiEliminaOttimo articolo, grazie! Io spero in Fermare il declino di Giannino & co.
RispondiElimina«la storia di Bettino Craxi andò in un modo piuttosto lineare. Ladro, beccato a rubare, muore da latitante.
RispondiEliminaNon mi par difficile.»
La Prima Repubblica era fondata sistematicamente sulle tangenti, sull'assistenzialismo, sul clientelismo, sul finanziamento illecito ai partiti. Tutti lo facevano: dal PSI, alla DC, al PCI.
Era un segreto di pulcinella, ma – guarda a caso – il capro espiatorio fu Craxi, che aveva cercato di condurre una politica estera italiana autonoma, reato imperdonabile per gli occupanti statunitensi.
Tutta l'operazione Tangentopoli e Mani Pulite non fu altro che il riassetto della classe politica italiana, a beneficio del nuovo ordine geopolitico unipolare, stante la fine della Guerra Fredda.
Se non si tiene conto di questi fatti storici, è inutile dare fiato alla bocca.
@Marco Mancini
RispondiEliminanon so davvero, ma spero davvero che esista. se ci dobbiamo affidare a storace e la russa...
@Andrea Virga
ok, ho letto la tua "difesa" spassionata di Craxi. non hai neanche provato a contestare il "Ladro, beccato a rubare, muore da latitante"
tra i tanti ladri della prima repubblica (ah, se ve ne furono!), craxi è stato preso come simbolo. Forse perché è stato uno dei pochi che ha subito una "penalizzazione" della sua condotta. Forse perché l'episodio delle monetine è sentito come un riscato del popolo contro il ladro (ti confesso che riguardare su youtube il servizio del tg3 sull'avvenimento mi fa venir voglia di rigraziare uno ad uno tutti i presenti)
altri, per fare il primo nome che mi viene in mente: il Lorenzo Cesa dell'"intendo svuotare il sacco" razzolano anche in parlamento.
Tra l'altro, neanche di "furto" in senso stretto si trattava ma di corruzione e finanziamento illecito ai partiti.
RispondiEliminaLo stesso giudice D'Ambrosio ebbe affermare: «La molla di Craxi non era l'arricchimento personale, ma la politica»
Poi, nessuno qui vuole santificare Craxi, ma per me basta Sigonella a far passare in secondo piano la sua piena partecipazione al clima di corruzione generale della Prima Repubblica.
@Andrea Virga
RispondiEliminacorruzione, finanziamento illecito ai partiti, puoi chiamarlo come ti pare. Il risultato era che soldi dei contribuenti venivano rubati (da cui: "furto")
In tutta onesta, l'aver fatto il gradasso a sigonella non mi sembra un motivo sufficiente a far passare in secondo piano il fatto che ha rubato in casa MIA.
ma ammetto che questo può essere un mio punto di vista...
La sovranità nazionale è per me un valore superiore rispetto a quello della trasparenza della politica (certo, meglio se c'è anche questa). Tra l'altro, stante questa definizione di "furto", allora definiremmo tali anche quei politici che sciupano denaro pubblico (ossia "soldi dei contribuenti"), in maniera legalizzata?
RispondiEliminaIl malcostume di cui era colpevole anche Craxi era imputabile all'intera classe politica repubblicana, mentre il merito di aver puntato i piedi a Sigonella, lo colloca su un altro gradino, rispetto ai supini esecutori delle direttive NATO. Certo, non era un De Gaulle...
@Andrea Virga
RispondiEliminaok, allora fatti pure rubare in casa. l'importante è che il ladro faccia il bulletto in giro
..contento te..
btw, non mi pare che de gaulle sia mai stato accusato di aver rubato