di Le Roi
“Cribbio, che c’azzecca?”, titolava ieri Il Tempo di Mario
Sechi. E in effetti, vista l’eco suscitata dalla chiacchierata in Transatlantico tra il leader
Idv e il Cavaliere, una simile domanda sarà passata per la mente a molti. Di
fronte alla rabbia della “base” (in pratica, di quelli che “Io leggo Il Fatto Quotidiano-seguo Travagalio-vedo Santoro-e
quindi sono meglio di te”) l’ex pm è stato addirittura costretto a
giustificarsi (“Che dovevo fare, menargli?”) per quello che, in una democrazia
sana e non affetta da sindrome della Curva Sud come quella italiana,
risulterebbe come un normalissimo colloquio tra opposti leader.
Se è però vero che di abboccamenti come
quello di ieri la storia delle democrazie parlamentari ne è piena, non bisogna però minimizzarne l’importanza, non tanto sul versante berlusconiano quanto su quello
dipietrista.
Come ci ricorda infatti Il Foglio del 23 giugno, sono esattamente tre settimane che il buon Tonino è in fuga dai toni che lo hanno reso famoso e che hanno portato il suo partito alle lusinghiere percentuali che conosciamo. Tutto è iniziato poco prima dell’infausto Referendum dagli esiti bulgari e statalisti di cui l’Idv è stata fervente promotrice. Già allora, il Tonin Fuggiasco sciorinava infatti una serie di “ma”, di “forse”, di “non strumentalizziamone l'esito” che facevano storcere il naso a non pochi suoi elettori.
Per non parlare delle ore successive alla vittoria, in cui, addirittura, si è assistito a un ironico ribaltamento di ruoli che ci ha mostrato un Bersani versione Di Pietro (“dimissioni, dimissioni!”) e un Di Pietro versione Bersani (“Non è legittimo strumentalizzare”e bla bla).
Come ci ricorda infatti Il Foglio del 23 giugno, sono esattamente tre settimane che il buon Tonino è in fuga dai toni che lo hanno reso famoso e che hanno portato il suo partito alle lusinghiere percentuali che conosciamo. Tutto è iniziato poco prima dell’infausto Referendum dagli esiti bulgari e statalisti di cui l’Idv è stata fervente promotrice. Già allora, il Tonin Fuggiasco sciorinava infatti una serie di “ma”, di “forse”, di “non strumentalizziamone l'esito” che facevano storcere il naso a non pochi suoi elettori.
Per non parlare delle ore successive alla vittoria, in cui, addirittura, si è assistito a un ironico ribaltamento di ruoli che ci ha mostrato un Bersani versione Di Pietro (“dimissioni, dimissioni!”) e un Di Pietro versione Bersani (“Non è legittimo strumentalizzare”e bla bla).
Come spiegare questa fuga verso il
centro, questa metamorfosi moderata del Robespierre di Montenero di
Bisaccia, culminata nel discorso di ieri alla Camera? Avrà anche lui un mutuo da pagare? O è pronto un posto da Ministro della
Giustizia? Tutt’altro. Antonio Di Pietro ha (aggiungerei finalmente) capito che il
giacobinismo forcaiolo e giustizialista non paga in termini di voti. O meglio,
paga fino a un certo punto.
L’Idv, infatti, non potrà mai andare oltre una certa soglia se continua di questo passo. Stuzzicare la famigerata “pancia” degli italiani ergendosi come il più puro tra i puri potrà sì sedurre un 10% di idealisti manichei, ma non quella grande palude che, in ogni democrazia e in particolare in quella italiana, decide l’esito delle elezioni: il partito degli indecisi.
La formazione dell’ex pm ha raggiunto infatti il grado di saturazione, ponendosi così di fronte a un bivio: o si continua imperterriti sulla vecchia via, stile “Squadra che vince non si cambia”, o si fugge, virando verso il centro (vi prego, leggetevil’intervista rilasciata a Cazzullo sul Corriere dioggi: sembra di sentir parlare un vecchio notabile democristiano) e offrendo una reale alternativa di governo.
In altre parole, paragone ardito ma calzante, o si resta giacobini o si diventa girondini. Sperando di non farne la stessa fine.
L’Idv, infatti, non potrà mai andare oltre una certa soglia se continua di questo passo. Stuzzicare la famigerata “pancia” degli italiani ergendosi come il più puro tra i puri potrà sì sedurre un 10% di idealisti manichei, ma non quella grande palude che, in ogni democrazia e in particolare in quella italiana, decide l’esito delle elezioni: il partito degli indecisi.
La formazione dell’ex pm ha raggiunto infatti il grado di saturazione, ponendosi così di fronte a un bivio: o si continua imperterriti sulla vecchia via, stile “Squadra che vince non si cambia”, o si fugge, virando verso il centro (vi prego, leggetevil’intervista rilasciata a Cazzullo sul Corriere dioggi: sembra di sentir parlare un vecchio notabile democristiano) e offrendo una reale alternativa di governo.
In altre parole, paragone ardito ma calzante, o si resta giacobini o si diventa girondini. Sperando di non farne la stessa fine.
Pubblicato il 25 giugno 2011
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